Questa patologia è definita
anche come Spondilomielopatia Cervicale Caudale CCSM ed è caratterizzata
da un fenomeno compressivo a carico del midollo spinale; la porzione di
rachide interessata è quella cervicale con particolare incidenza a livello
delle vertebre C5, C6 e C7.
La malattia colpisce prevalentemente i cani di taglia grande e gigante con
maggior predisposizione di alcune razze tra cui il Dobermann generalmente
in età adulta e l’Alano nei primi anni di vita. L’insorgenza è
tendenzialmente rapida ma non è nota ad oggi quale sia la causa esatta di
questa problematica e si ipotizza che in essa possano concorrere più
fattori tra cui la genetica ad esempio.
La patogenesi è piuttosto varia poiché la compressione cronica del midollo
può avere diverse localizzazioni a causa dello spostamento anomalo di
diverse strutture: un’ernia discale che comprime il midollo ventralmente,
una compressione ad anello data da alterazione dei legamenti e del disco,
artrosi-malformazioni-malarticolazioni delle superfici vertebrali,
malformazioni di tutto il corpo vertebrale con riduzione del canale
midollare e spostamenti rotazionali delle vertebre.
Tutte queste alterazioni che causano compressioni midollari si manifestano
con riluttanza e difficoltà al movimento, soprattutto a carico del treno
posteriore, gli arti anteriori tendono a muovere lentamente piccoli passi
ed è presente un’importante algia a livello cervicale. Nei casi più
eclatanti l’atassia locomotoria può degenerare in tetraparesi.
Per diagnosticare questa patologia l’indagine migliore è quella svolta
attraverso risonanza magnetica che permette di evidenziare la lesione in
maniera molto precisa; in alternativa è possibile effettuare una
mielografia con mezzo di contrasto che iniettato nel canale vertebrale
permette attraverso immagini radiografiche di individuare modificazioni
patologiche del decorso del midollo spinale localizzando di conseguenza
l’alterazione delle strutture circostanti.
Da un punto di vista terapeutico il mio approccio è di tipo chirurgico,
volto ad eliminare il fenomeno compressivo a carico del midollo;
intervengo quindi sulle vertebre e sui dischi intravertebrali, asportando
le porzioni erniate, creando fenestrature sui corpi vertebrali al fine di
ridurre lo schiacciamento ed eventualmente fissando con materiali
specifici le vertebre tra di loro per impedire movimenti che vadano di
nuovo a sollecitare il midollo comprimendolo. La prognosi è tuttavia
incerta per svariati motivi: poiché il recupero delle funzioni motorie è
strettamente legato ai danni subiti dal midollo indipendentemente
dall’asportazione chirurgica delle strutture che li hanno causati.
Frequentemente buoni risultati vengono ottenuti sottoponendo i pazienti ad
un periodo di fisioterapia mirata al recupero di tali funzioni.